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Allergie alimentari

Le allergie alimentari.

Autore: Dr. Natasha Campbell-McBride.
Pubblicato su: Journal of Orthomolecular Medicine, First Quarter, 2009, Vol 24, 1, pp.31-41.

Le allergie alimentari sono diventate molto comuni e il loro numero è in aumento (1) e molti medici ritengono che dovremo confrontarci con questo fenomeno sempre più spesso. Un recente sondaggio condotto nel Regno Unito dimostra che quasi la metà della popolazione accusa una “allergia” a qualche alimento o alimenti (2); tuttavia le stime ufficiali condotte nei paesi sviluppati riguardo una “reale allergia alimentare” si assestano al solo 1% della popolazione (1). Il motivo di questa discordanza sta nel fatto che la maggioranza delle reazioni/allergie/intolleranze alimentari non risultano in un aumento delle IgE o IgG, esito positivo del prick test o del RAST test. Si tende quindi a classificare questo gruppo di persone come sofferenti di “allergie di tipo B”, “intolleranze alimentari metaboliche” o semplicemente “intolleranze alimentari” piuttosto che sofferenti di “vera allergia”(3). I pazienti appartenenti a questo gruppo possono reagire ad un singolo o ad una combinazione di alimenti diversi; molto spesso la persona non sa indicare quale sia stato il cibo a provocare la reazione, perché questa può essere sia immediata che ritardata (uno o più giorni o anche una settimana dopo). Dal momento che queste reazioni ritardate si sovrappongono l’una all’altra, il paziente non può mai essere sicuro a cosa abbia reagito in un determinato giorno (1,3). A confondere ancora di più le cose interviene il fenomeno della alterazione, quando cioè le risposte ad un alimento regolarmente consumato si sovrappongono (la nuova reazione comincia quando la precedente non è ancora terminata), cosa che rende incerta la relazione tra un dato alimento e i sintomi che scatena (4). Un’allergia o intolleranza alimentare può determinare qualunque tipo di sintomo, da emicrania, fatica, sindrome pre-mestruale, dolori alle giunture e pruriti fino a depressione, iperattività, allucinazioni, ossessioni ed altre manifestazioni psichiche e neurologiche. Nella maggioranza dei casi tuttavia le reazioni più immediate e comuni riguardano il sistema digestivo: dolori addominali, diarrea o costipazione, incontinenze, gonfiori addominali, indigestione, ecc. (3,5,6).

È ovvio che si cerchi sempre di identificare il cibo al quale si reagisce e a tal proposito sono stati sviluppati molti tipi di esami: dalle analisi del sangue all’esame elettronico della pelle. Molti medici però esprimono scetticismo sull’utilità di questi esami, in quanto producono troppi falsi positivi e troppi falsi negativi (6). La soluzione poi è spesso semplicistica: togliere quell’alimento dalla dieta per eliminare il sintomo. In alcuni casi questo approccio risolve il problema, ma nella maggioranza non è definitivo; i pazienti scoprono che eliminando un certo alimento cominciano a reagire ad altri che prima non generavano sintomi. Questo metodo, se protratto, finisce con il ridurre la dieta del paziente ad un numero esiguo di alimenti, dove ogni cibo rimasto risulta “allergenico”. La maggioranza dei medici arrivano tutti alla stessa conclusione: il semplicistico approccio di “non mangiare alimenti ai quali si è allergici” non risolve il problema dalla radice (3,6). Dobbiamo cercare le cause delle intolleranze alimentari in profondità. Per una maggiore comprensione voglio illustrare un caso clinico riguardante uno dei miei pazienti. Stephanie S., 35 anni di età, chiese il mio aiuto per “risolvere le sue allergie”. La paziente in questione aveva un aspetto molto pallido e malnutrito (peso 45 kg, altezza 160 cm), bassi livelli energetici, cistite cronica, dolori e gonfiori addominali, costipazione cronica e per tutta la sua vita era stata immancabilmente diagnosticata anemica. Storico familiare: nata con parto naturale da madre afflitta da emicranie e disturbi digestivi. La sorella soffriva di una grave forma di eczema, mentre il fratello di disturbi gastrointestinali. Nessuna informazione sullo stato di salute del padre.

Da piccola non era stata nutrita al seno e, già a 3 mesi, soffrì della sua prima infezione urinaria trattata con il suo primo ciclo di antibiotici. Da allora le infezioni urinarie divennero una costante della sua vita, generalmente trattate con antibiotici. Al presente soffre di cistite interstiziale. La magrezza ha accompagnato tutta l’infanzia ed ha sempre avuto il problema di mettere su peso, ma altrimenti la ragazza definiva la propria salute “a posto”. Ha completato le scuole e ha praticato sport. Le mestruazioni, che le erano cominciate a 13 anni, si fermarono a 14. Cominciò ad assumere la pillola anticoncezionale che sembrò regolarle il ciclo. A 16 anni cominciò un lungo ciclo di antibiotici contro l’acne e come conseguenza sviluppò un’intolleranza al lattosio, stitichezza persistente e gonfiori addominali. A 18 anni le fu consigliato di eliminare i latticini, che per un po’ le alleviò la stitichezza, mentre altri sintomi permasero. I livelli energetici diminuivano progressivamente, accusava crampi addominali, episodi di capogiro, magrezza pronunciata e pelle molto secca. A seguito di numerosi consulti con altrettanti medici ed esami allergenici, cominciò ad eliminare un alimento dietro l’altro dalla dieta, ma senza mai avere la certezza dell’efficacia: alcuni sintomi sparivano, altri no, altri insorgevano. Diventò sensibile ai forti rumori e all’inquinamento dell’ambiente, allo shampoo e ai cosmetici ed ad alcuni prodotti per la pulizia della casa. La cistite diventò cronica e fu diagnosticata di origine psicosomatica dal suo medico. Al momento del nostro primo consulto la sua dieta era molto limitata, sembrava tollerasse (ma non ne era sicura) i cereali per la prima colazione, lo yogurt di latte di pecora, latte di soia, alcuni tipi di formaggio, poche verdure e raramente pesce. Dopo diversi esami allergenici aveva eliminato tutte le carni, le uova, tutta la frutta, cereali integrali e molte verdure.

Casi simili sono molto frequenti e dimostrano chiaramente che la sola rimozione dei cibi “colpevoli” dalla dieta non risolve i problemi. Dobbiamo cercare le cause della malattia del paziente più in profondità. Per fare questo dobbiamo analizzare l’anamnesi di Stephanie.

Infanzia.

Stephanie era la figlia di una donna che soffriva di problemi digestivi e non fu allattata al seno. Cosa dobbiamo dedurne? Noi sappiamo che i neonati nascono con l’intestino sterile (7). Al momento del parto il bambino ingoia grandi quantità di microbi che risiedono nel canale vaginale della madre (8). Questi microbi impiegano 20 giorni circa per stabilizzarsi nel sistema digestivo del neonato e diventano la base della futura flora intestinale (7,8). Ma da dove viene la flora vaginale? La ricerca scientifica ha dimostrato che questa viene in gran parte dall’intestino. Ciò che vive nell’intestino della donna, lo si troverà anche nella sua vagina (9,10). I problemi digestivi della madre di Stephanie indicano che la donna avesse flora intestinale anomala che passò alla figlia al momento del parto. Stephanie non fu allattata al seno. Il latte della madre, in particolare nei primi giorni seguenti il parto, è ricco di colostrum che è vitale per il popolamento del sistema digestivo del neonato e garantirgli una sana flora intestinale (9,10,11). Sappiamo anche che i neonati nutriti con latte in polvere sviluppano una flora batterica intestinale completamente diversa da quella degli allattati al seno (11). Quella flora predispone i bambini nutriti con latte in polvere ad asma, eczema, diversi tipi di allergie ed altri problemi di salute (12). Le anomalie peggiori si sviluppano tuttavia nel sistema digestivo, lo stesso posto in cui questi microbi dimorano. Stephanie quindi al momento del parto acquisisce dalla madre una flora intestinale anomala, la quale poi viene ulteriormente compromessa dalla nutrizione con latte in polvere.

Cistite cronica.

Nei primi giorni di vita del neonato, oltre all’intestino, altre membrane mucose e la pelle vengono popolate da batteri che più tardi avranno un ruolo cruciale nella protezione di tali superfici dall’attacco dei patogeni (13). Avendo acquisito una flora intestinale anomala da piccola, Stephanie si è trovata compromessa anche quella della zona inguinale e della vagina, venendo appunto tale flora dall’intestino (10). In quegli stessi primi giorni di vita anche l’uretra e la vescica urinaria vengono popolate da flora batterica: di norma i batteri predominanti sono i Lattobatteri, con una importante presenza di L. Crispatus e L. Jensenii (14). Questi batteri producono perossido di idrogeno che riduce il pH di quelle aree e non permette la colonizzazione da parte dei patogeni (15). L’uretra e la vescica non protette cadono vittime dei patogeni che provocano infezioni del tratto urinario. I patogeni più comuni responsabili di infezioni urinarie sono E.Coli, Pseudomonas Aeruginosa and Staphylococcus Saprophyticus, che provengono appunto dall’intestino e dalla zona inguinale (15). L’organismo usa l’urina come uno dei mezzi di espulsione di tossine (16). In presenza di disbiosi intestinale, i patogeni producono grandi quantità di tossine diverse che, attraverso le pareti intestinali danneggiate, dall’intestino entrano nel circolo sanguigno (16,17). Molte di queste tossine, lasciando il corpo attraverso le urine, si accumulano nella vescica; l’urina tossica si trova quindi in contatto con le pareti della vescica. La flora batterica benefica mantiene il rivestimento protettivo della vescica, un rivestimento composto in prevalenza da glicosaminoglicani (GAG) prodotti dalle cellule delle pareti vescicali (17). Quando il rivestimento protettivo GAG viene leso, le sostanze tossiche presenti nell’urina passano attraverso le pareti della vescica e provocano infiammazioni che portano alla cistite cronica. E questo è esattamente ciò che è successo a Stephanie che già a 3 mesi di vita accusò la sua prima infezione urinaria. La flora intestinale, vaginale, dell’uretra e della vescica non furono corrette e di conseguenza ha sofferto di ripetute infezioni urinarie risultanti in cistite cronica.

Ulteriori danni alla flora intestinale.

A causa delle infezioni urinarie ricorrenti Stephanie fu sottoposta a numerosi cicli di antibiotici, cominciando dalla primissima infanzia. Ognuno di quei cicli ha danneggiato la flora batterica benefica ed ha spalancato le porte all’invasione dei patogeni resistenti agli antibiotici (10,19). Anche se il ciclo di antibiotici è breve e il dosaggio è basso, ci vuole molto tempo perché la flora batterica benefica recuperi posizioni: E. Coli fisiologico impiega circa 1-2 settimane, Bifidobatteri e Veillonelli impiegano 2-3 settimane, Lactobacilli, Batteroidi, Peptostreptococchi un mese (10,20). Se, durante questi periodi la flora subisce altri danni, allora la disbiosi può insediarsi velocemente (21). Dopo una serie di cicli di antibiotici relativamente brevi, Stephanie a 16 anni si sottopose ad un ciclo molto più lungo per debellare l’acne. In quel periodo sviluppò notevoli disturbi digestivi: costipazione, gonfiori e dolori addominali e intolleranza al lattosio, tutti sintomi che indicano un grave deterioramento della flora intestinale. Dall’età di 14 anni, poi, la ragazza cominciò a prendere la pillola per molti anni a venire. I contraccettivi producono un serio danno alla flora intestinale e generano allergie ed altri disturbi relativi alla disbiosi (22,23).

Malnutrizione: la conseguenza della flora intestinale anomala. Stephanie ha sempre sofferto di malnutrizione per tutta la vita nonostante che in famiglia si consumassero pasti sani e la ragazza mangiasse normalmente. Era sempre pallida, molto magra e minuta e non riusciva a metter su peso. Questo non ci deve sorprendere se consideriamo lo stato della sua flora intestinale fin dalla nascita. Lo strato microbico adibito alla assimilazione che riveste il tratto gastrointestinale non ha la sola funzione di proteggere contro l’azione di tossine e patogeni, ma di mantenere l’integrità del tratto stesso (20,21). Le cellule epiteliali, chiamate enterociti, che rivestono i villi sono le responsabili del completamento del processo digestivo e assimilazione delle sostanze nutrienti del cibo (24). L’arco di vita di queste cellule è di soli pochi giorni, perché il ricambio nelle pareti intestinali è molto veloce. Gli enterociti sono continuamente prodotti nelle ghiandole (o cripte) intestinali e migrano verso la sommità dei villi assolvendo al loro compito di digestione e assimilazione e maturando sempre di più man mano che si avvicinano alla cima dei villi, raggiunta la quale vengono eliminati. In questo modo l’epitelio dell’intestino si rinnova continuamente, assicurando la capacità di svolgere al meglio il proprio ruolo (24).

La sterilizzazione dell’intestino operata su animali ha dimostrato che quando i batteri benefici che vivono sull’epitelio intestinale vengono rimossi, il processo di rinnovamento di queste cellule viene completamente stravolto (10). Il tempo di percorrenza delle cellule, dalla cripta alla sommità dei villi, si allunga di alcune volte compromettendo la maturazione delle cellule adibite alla assimilazione che spesso diventano cancerogene. L'attività mitotica (mitosi) delle cripte ne risulta significativamente ridotta, il che si traduce in una produzione cellulare nettamente ridotta e con capacità di assolvere il proprio compito molto inferiore. Lo stato delle cellule stesse diventa anomalo (9,25). Questo succede in cavie di laboratorio con intestino sterilizzato; nell’essere umano l’assenza di batteri benefici è sempre associata ad una proliferazione di patogeni che aggrava l’intera situazione. Durante l’attacco dei patogeni, e in assenza di batteri benefici, l’epitelio intestinale degenera e diventa incapace di digerire ed assimilare il cibo in modo appropriato, provocando l’insorgere di malnutrizione, appunto, deficit di assimilazione e intolleranze alimentari (19,21,25).

Oltre a mantenere le pareti intestinali in buono stato, la flora benefica ha un ruolo attivo e importante in ogni aspetto della digestione e dell’assimilazione (19,21); in altre parole una sana digestione e assimilazione è impossibile in assenza di flora benefica ben bilanciata. La flora è responsabile della digestione delle proteine, fermentazione dei carboidrati, scomposizione di lipidi e fibre. I sotto prodotti dell’attività della flora stessa hanno grande importanza nel trasporto di minerali, vitamine, acqua, gas e molti altri nutrienti dall’intestino al circolo sanguigno (10). Se la flora è incapace di fare il suo lavoro, il cibo e i supplementi migliori del mondo non avranno nessuna opportunità di essere scomposti ed assimilati. Un buon esempio è costituito dalle fibre alimentari, che sono l’habitat naturale della flora benefica intestinale (25). I batteri che se ne cibano producono una serie di sostanze nutritive per le pareti intestinali e l’intero organismo, sono attivi nella eliminazione di tossine, nel metabolismo dell’acqua e degli elettroliti, nel riciclo della bile e del colesterolo, ecc. Sono proprio i batteri che vivono delle fibre alimentari che permettono tutte queste importanti funzioni corporali (20,21). Quando i batteri sono incapaci di svolgere la loro azione, le fibre possono diventare molto pericolose per l’intero sistema digestivo fornendo alimento ai patogeni che con la loro attività aggravano lo stato infiammatorio delle pareti intestinali. Questo è lo scenario in cui il gastroenterologo raccomanda una dieta povera di fibre (19). Per concludere, in assenza di batteri benefici le fibre alimentari possono essere deleterie per la nostra salute.

Dopo un lungo ciclo di antibiotici prescritti per la cura dell’acne, Stephanie scoprì anche di essere intollerante al lattosio. Ed è un fatto che il lattosio sia una di quelle sostanze che la maggioranza di noi non sarebbero in grado di digerire senza una flora intestinale ben funzionante (25). A tutt’oggi la spiegazione offerta dalla comunità scientifica è che, superata la prima infanzia, la maggior parte di noi è carente di un enzima chiamato lattase, responsabile della digestione del lattosio (26). Se l’evoluzione non ci ha preparati alla digestione del lattoso, allora perché alcuni di noi non hanno nessuna difficoltà a digerirlo? La risposta è che questi individui hanno i batteri giusti nel loro intestino. Uno dei maggiori responsabili della digestione del lattosio è E. Coli (10). Per alcuni potrebbe sorprendere che una presenza fisiologica di E. Coli sia residente essenziale di un sano tratto gastrointestinale. Questi batteri cominciano a risiedere nell’intestino già dai primi giorni di vita nella misura di 107 – 109 Unità Formanti Colonia per grammo (CFU/g) e mantengono questo numero per tutta la vita dell’individuo, sempre che non vengano distrutti da antibiotici o altri fattori ambientali (9,19). Oltre a digerire il lattosio le presenze fisiologiche di E. Coli producono vitamine K e B1, B2, B6, B12, sostanze simili agli antibiotici come le colicine e controllano altri ceppi della loro stessa famiglia che causano malattie. In breve, avere presenze fisiologiche di E. Coli nell’intestino è il modo migliore per proteggersi dagli effetti dei ceppi patogeni di E. Coli (21). Purtroppo questo gruppo di batteri è molto vulnerabile all’azione di antibiotici ad ampio spettro, in particolare agli aminoglicosidi (Gentamicina, Kanamicina) e ai macrolidi (Eritromicina, ecc.) (9,10).

Oltre a E. Coli ci sono altri ceppi batterici benefici nell’intestino sano (Bifidobettri, Lattobacilli, lieviti benefici ed altri) che non solo garantiscono la corretta assimilazione dei nutrienti, ma sintetizzano attivamente varie sostanze: vitamina K, acido pantotenico, acido folico, tiamina (vitamina B1), riboflavina (vitamina B2), niacina (vitamina B3), piridossina (vitamina B6), cianocobalamina (vitamina B12), vari amminoacidi ed altre sostanze attive (9,10,25). Durante il nostro lungo processo evolutivo la Natura ci ha messo in condizione di non morire di carenze vitaminiche o di amminoacidi quando l’approvvigionamento di cibo è scarso. La Natura ci ha messo in grado di produrre noi stessi queste sostanze dandoci una sana flora intestinale. E quando questa flora è compromessa, a prescindere dalla qualità della nostra alimentazione, insorgono carenze vitaminiche. Le analisi di ogni bambino o adulto afflitto da disbiosi mostrano carenze proprio di quelle vitamine che la flora intestinale dovrebbe produrre (25). Il ripristino della flora batterica benefica intestinale è il modo migliore per correggere tali carenze, particolarmente per le vitamine del gruppo B (10,19,21). Nei ripetuti esami eseguiti nell’arco di anni Stephanie risultò carente in molte vitamine B, vitamine liposolubili, magnesio, zinco, selenio, manganese, zolfo, ferro ed alcuni acidi grassi.

Anemia: un’altra conseguenza della disbiosi intestinale.

Stephanie ha sofferto di anemia per tutta la vita, trattata senza successo con supplementi di ferro. La maggioranza dei pazienti affetti da disbiosi ha un aspetto pallido, una carnagione molliccia e le analisi del sangue di questi soggetti mostrano alterazioni tipiche dell’anemia (21). Non dobbiamo sorprenderci; questi individui non solo assimilano male gli elementi essenziali per il sangue e i minerali del cibo, ma la loro stessa capacità di produrre queste sostanze è compromessa. Di norma queste persone hanno nel proprio intestino colonie di batteri amanti del ferro (Actinomiceti spp, Micobatteri spp, ceppi patogeni di E. Coli, Corinebatteri spp e molti altri) (13,25). Questi batteri consumano tutto il ferro presente nell’organismo lasciando l’individuo carente di questo minerale. Purtroppo i supplementi di ferro altro non fanno che nutrire tali batteri, i quali proliferano provocando spiacevoli disturbi digestivi, senza risolvere l’anemia. Il nostro sangue ha bisogno di una lunga serie di vitamine: B1, B2, B3, B6, B12, C, A, D, acido folico e pantotenico ed alcuni amminoacidi (24,10). È stato dimostrato da studi e ricerche eseguite in tutto il mondo che i supplementi di ferro non risolvono l’anemia (27).

I patogeni intestinali.

I patogeni più studiati, che dopo cicli di antibiotici proliferano nell’intestino, sono i Clostridi e i Lieviti, che normalmente appartengono al gruppo di microbi intestinali opportunistici (28). La flora opportunistica è un gruppo costituito da una vasta gamma di microbi diversi, il cui numero e combinazione varia da individuo a individuo; fin’ora abbiamo catalogato circa 400 specie diverse. In questo gruppo troviamo i più comuni: Batteroidi, Peptococchi, Stafilococchi, Streptococchi, Bacilli, Clostridi, Lieviti, Enterobatteri (Proteus, Clebsielli, Citrobatteri, ecc.), Fusobatteri, Eubatteri, Spirochete, Spirillacee, Cianobatteri, diversi virus e molti altri (13). È interessante notare che molti di questi batteri, quando in numero contenuto, svolgono funzioni positive: partecipano alla digestione del cibo e alla scomposizione dei lipidi e degli acidi biliari, ad esempio. In un intestino sano il loro numero è tenuto sotto stretto controllo dalla flora benefica (20), ma quando la flora è indebolita o compromessa sfuggono a qualsiasi controllo e provocano numerosi disturbi (29). L’opportunista più conosciuto è il fungo Candida, che causa indicibili sofferenze a milioni di persone (31).

La letteratura sulle infezioni da Candida è più che abbondante, ma devo dire che molte delle patologie attribuite a Candida sono piuttosto il risultato della disbiosi, che sottintende l’attività di molti altri batteri opportunistici e microbi patogeni. Candida Albicans non è mai sola nell’organismo umano; la sua attività, capacità di sopravvivenza e potere di provocare patologie dipende dall’esistenza di migliaia di miliardi di altri inquilini: diversi tipi di batteri, virus, protozoi, altri lieviti e una moltitudine di altri micro-creature (9,19,31). Nell’individuo sano Candida ed altri patogeni, promotori di malattia, sono tenuti sotto fermo controllo dalla flora benefica. Purtroppo l’era degli antibiotici ha dato a Candida vantaggi unici; i comuni antibiotici ad ampio spettro infatti uccidono molte specie di microbi, sia i buoni che i cattivi, ma non hanno alcun effetto su Candida. Dopo ogni ciclo di antibiotici quindi, Candida si trova senza antagonisti e non perde l’occasione per crescere e riprodursi (30,31). Stephanie accusava molti sintomi di sovracrescita di Candida: bassi livelli energetici, pelle secca, candidosi vaginale ricorrente e cistite, gonfiore, stitichezza, scarsa lucidità mentale e letargia.

Anche i Clostridi hanno approfittato delle opportunità offerte dall’era degli antibiotici perché anche essi sono resistenti a tali farmaci (34). Fin’ora abbiamo scoperto circa 100 membri di questa famiglia, tutti capaci di provocare gravi malattie. Molti di loro si trovano anche come opportunisti nell’intestino umano sano (25,33). Ammesso che siano tenuti sotto controllo dalla flora benefica non causano generalmente seri danni, ma come già detto, ogni ciclo di antibiotici ad ampio spettro sopprime la flora benefica lasciando libertà di proliferazione ai Clostridi. Certi ceppi di Clostridi possono provocare gravi infiammazioni del sistema digestivo, ne danneggiano l’integrità e causano disturbi digestivi e intolleranze alimentari (32,33).

“Allergie” e intolleranze alimentari.

La flora sana mantiene l’integrità delle pareti intestinali proteggendole, nutrendole e assicurandone il ricambio cellulare. Quando la flora benefica viene notevolmente ridotta, le pareti intestinali degenerano (9,10,21,25). Per lo stesso motivo varie tipologie di opportunisti, ormai senza controllo, raggiungono più facilmente le pareti dell’intestino compromettendone l’integrità: rendendolo poroso e dando luogo al cosiddetto intestino permeabile, cioè “bucato” (6,28,29). I microbiologi hanno osservato come i comuni batteri opportunistici delle famiglie Spirochete e Spirillacee, proprio per la loro conformazione a spirale, hanno la capacità di insediarsi tra le cellule intestinali rompendo l’integrità delle pareti e permettendo così la fuoriuscita di sostanze che normalmente non potrebbero uscire (13,25). Candida Albicans ha la stessa capacità: questo micete mette letteralmente radici nelle pareti dell’intestino rendendolo permeabile (31). Anche molti vermi e parassiti provocano lo stesso fenomeno (9,10,35). Attraverso questi “buchi” il cibo parzialmente digerito entra nel circolo sanguigno, il sistema immunitario lo riconosce come ostile e reagisce di conseguenza (36,37,38). Ecco come si sviluppano allergie e intolleranze alimentari. Per riassumere: il problema non sta nel cibo in sé, ma nella digestione parziale del cibo e nella sua fuoriuscita dall’intestino reso permeabile. Per eliminare le allergie alimentari non dobbiamo quindi concentrarci sul cibo, ma sulle pareti dell’intestino. Nella mia esperienza clinica ho constatato che una volta guarito l’intestino, le allergie alimentari svaniscono.

Guarire le pareti intestinali: la dieta.

Come possiamo curare le pareti intestinali? Dobbiamo sostituire i patogeni con batteri buoni, i probiotici sono quindi parte essenziale della cura. Tuttavia l’intervento più significativo è una dieta appropriata. Non c’è bisogno di reinventare la ruota quando si parla di strutturare una dieta mirata ai disturbi digestivi. La dieta esiste già ed è stata provata efficacissima da più di 60 anni di verifiche nella cura di individui con ogni sorta di malattia digestive, incluso il devastante morbo di Crohn e la colite ulcerosa. Questa dieta si chiama “Dieta dei Carboidrati Specifici, abbreviata in SCD (Specific Carbohydrate Diet – SCD).

La SCD fu messa a punto da un rinomato pediatra americano: il dottor Sidney Valentine Haas, nella prima metà del XX secolo (39). Quelli erano i bei tempi in cui i medici curavano i pazienti con diete e prodotti naturali. Proseguendo il lavoro dei dottori L. Emmett Holt, Cristian Herter e John Howland, il Dr. Haas dedicò molti anni alla ricerca degli effetti della dieta sulla celiachia ed altri disturbi digestivi. Il Dr. Haas e i suoi colleghi notarono che i pazienti con disturbi digestivi tolleravano bene le proteine e i grassi, ma i carboidrati complessi dei cereali e le verdure amidacee acuivano i disturbi. Anche saccarosio, lattosio ed altri disaccaridi furono esclusi dalla dieta, mentre certe frutta e verdure venivano non solo ben tollerate, ma davano netto giovamento. Il Dr. Haas trattò più di 600 pazienti con risultati eccellenti: dopo aver seguito il regime dietetico per almeno un anno constatò una “completa guarigione senza ricadute, nessun decesso, nessuna crisi, nessun ricaduta polmonare e nessun arresto della crescita”. I risultati completi di questa ricerca furono pubblicati in un libro onnicomprensivo intitolato: “La Gestione della Malattia Celiaca” (The Management of Celiac Disease), scritto dal Dr. Sidney V. Haas e Merrill P. Haas nel 1951. La dieta descritta nel libro fu accettata dalla comunità medica di tutto il mondo come cura per la celiachia e il Dr. Sidney V. Haas ricevette riconoscimenti per il suo lavoro pionieristico in pediatria.

Purtroppo il “lieto fine” non accade molto spesso nella nostra storia, a quei tempi la celiachia non era chiaramente definita. Un gran numero di malattie intestinali venivano diagnosticate come celiachia e tutte venivano efficacemente trattate con la dieta. Nei decenni che seguirono successe qualcosa di tremendo: la celiachia fu definita come intolleranza o enteropatia al glutine e ciò escluse un largo ventaglio di patologie intestinali da questa diagnosi. Quando la “dieta senza glutine” fu dichiarata efficace per la celiachia, la SCD fu dimenticata come ormai obsoleta, ed insieme ad essa anche tutte le patologie intestinali che non rientravano più nella definizione di celiachia furono ugualmente dimenticate. La vera celiachia è rara, mentre le malattie intestinali “dimenticate” affliggono un gran numero di individui che prima venivano diagnosticati celiaci, ma che dopo non rispondevano alla dieta senza glutine. Incidentalmente molti pazienti celiaci non migliorano nemmeno con la dieta senza glutine. Tutte queste malattie invece rispondono bene alla dieta SCD sviluppata dal Dr. Haas (39).

A seguito della polemica sulla celiachia la Dieta dei Carboidrati Specifici sarebbe stata completamente dimenticata se non fosse stato per, avete indovinato, un genitore! Nel 1958 Elaine Gottschall, disperata per la condizione della figlia che soffriva di una grave forma di colite ulcerosa e problemi neurologici, chiese un consulto al Dr. Haas. Dopo 2 anni di SCD la figlia era completamente guarita da ogni sintomo e diventò una bambina vivace e piena di salute. Dopo il successo ottenuto sulla figlia con la SCD Elaine Gottschall, negli anni che seguirono, ha aiutato migliaia di persone sofferenti di malattia di Crohn, colite ulcerosa, celiachia, diverticolite e varie tipologie di diarrea cronica. La dieta ha avuto effetti molto sorprendenti e veloci in casi di bambini che oltre ad avere disturbi digestivi soffrivano anche di seri problemi comportamentali come autismo, iperattività e disturbi del sonno. Dopo aver dedicato anni alla ricerca delle basi biochimiche e biologiche della dieta Elaine ha pubblicato un libro intitolato: “Rompere il Circolo Vizioso. La Salute dell’Intestino con la Dieta” (Breaking the Vicious Cycle. Intestinal Health Trough Diet) (39). Questo libro si è rivelato una vera ancora di salvataggio per migliaia di bambini e adulti in tutto il mondo ed è stato ristampato moltissime volte. A supporto della dieta SCD esistono molti libri e siti internet con gruppi di aiuto e scambio di esperienze e ricette.

Nella mia pratica clinica ho adottato la SCD da molti anni e posso affermare che questa è la dieta risolutiva delle allergie alimentari. Siccome lavoro con bambini con disabilità dell’apprendimento: autistici, ADHD, dislessici, disprassici, ecc., ho raggruppato le patologie di questo tipo di pazienti sotto la denominazione: “Sindrome dell’Intestino e della Psiche” o GAPS come acronimo (Gut And Psychology Syndrome – GAPS) (40). Per questi pazienti ho adottato alcuni aspetti della SCD e ho messo a punto la Dieta GAPS. Negli anni ho sviluppato una Dieta Introduttiva GAPS per i pazienti più gravi che si è rivelata particolarmente efficace nelle allergie alimentari perché favorisce una veloce guarigione delle pareti intestinali. La Dieta Introduttiva è strutturata in fasi e, a meno che non esista un’allergia pericolosa (reazione anafilattica) ad un particolare alimento, raccomando ai miei pazienti di ignorare gli esiti degli esami allergenici e seguire le fasi della dieta una dopo l’altra. Le prime fasi della Dieta Introduttiva agiscono sull’intestino in tre modi:

1. Elimina le fibre. Le fibre irritano le pareti intestinali già danneggiate e forniscono alimento ai patogeni. Questo significa: nessuna noce, niente fagioli, niente frutta e verdure crude. Sono permesse solo verdure cotte (in zuppe o stufati) con le parti più fibrose della pianta rimosse. L’amido non è permesso nella Dieta GAPS, cioè niente cereali e niente verdure amidacee.

2. Fornisce nutrimento per le pareti intestinali: amminoacidi, minerali, gelatine, glucosammine, collageni, vitamine liposolubili, ecc. Queste sostanze provengono dal brodo di carne e di pesce fatti in casa, dalle parti gelatinose della carne ben cotte in acqua, dagli organi interni, tuorlo d’uovo e abbondanza di grassi della carne.

3. Fornisce i batteri probiotici degli alimenti fermentati. Ai pazienti viene insegnato come fermentare in casa lo yogurt, il kefir, le verdure ed altri alimenti. Questi cibi vengono introdotti gradualmente per evitare la reazione del “die-off”.

Nelle prime due fasi della Dieta Introduttiva scompariranno velocemente i sintomi digestivi più gravi: diarrea e dolori addominali, dopodiché il paziente potrà introdurre gli altri alimenti previsti dalle fasi successive. Con la progressiva guarigione delle pareti intestinali, i pazienti potranno mangiare tutti quei cibi che in precedenza non potevano tollerare. Al compimento della Dieta Introduttiva GAPS, si passerà alla Dieta Completa GAPS. Raccomando di seguire la Dieta Completa per 2 anni interi, in media, al fine di ripristinare la normale flora del tratto gastrointestinale e le sue funzioni. La durata della dieta potrà variare a seconda della gravità della condizione individuale. Di solito i bambini recuperano più velocemente.

Stephanie seguì la Dieta Introduttiva per 7 mesi, dopodiché comincio a metter su peso e a riacquistare le forze. Quando adottò la Dieta Completa GAPS produceva feci normali, non accusava più gonfiore né i sintomi della cistite. I livelli energetici erano notevolmente aumentati anche se aveva un aspetto ancora pallido. Dopo circa un anno dall’inizio della cura, la ragazza non si fece più sentire per 18 mesi, poi un giorno ricevetti una e-mail dove mi comunicava il suo stato di salute: stava bene, i livelli energetici erano buoni, non accusava nessun sintomo di cistite ed anche le funzioni gastrointestinali erano buone. Aveva messo su peso, ma si considerava ancora piuttosto magra, seppur entro i parametri della norma. Negli ultimi 2 mesi aveva cominciato a mangiare cibi non permessi dalla dieta, ma disse che riusciva a tollerarli se mangiati occasionalmente; questo includeva la pasta, cioccolata ed alcuni prodotti del locale fornaio.

Guarire le pareti dell’intestino: i probiotici. Per la guarigione delle pareti intestinali, oltre alla dieta, abbiamo bisogno di sostituire i batteri patogeni con quelli benefici. I cibi fermentati forniranno questi probiotici, tuttavia in certi casi è essenziale assumerne come supplementi. Gli studi sui benefici dell’assunzione di probiotici finalizzati a risolvere problemi digestivi, come per altri problemi in generale, sono numerosissimi (41,47). Sul mercato si trovano supplementi di probiotici in varie forme: bevande, alimenti, polveri, capsule e compresse. La maggioranza di questi prodotti è profilattica, ovvero sono pensati per persone in buone condizioni di salute, non per individui che hanno bisogno di risolvere un serio problema gastrointestinale o un intestino permeabile. Questi pazienti hanno bisogno di assumere probiotici in forma terapeutica, cioè in determinate dosi e con scelta scrupolosa dei ceppi batterici. L’assunzione terapeutica di probiotici provocherà la reazione di “die-off”, cioè i batteri buoni elimineranno quelli patogeni presenti nell’intestino e questi ultimi, morendo, rilasceranno tossine. Le stesse tossine che provocano i sintomi della malattia aumenteranno, aggravando quindi le condizioni del paziente. Questa reazione può avere effetti anche seri e deve essere controllata. Raccomando di cominciare l’assunzione terapeutica di probiotici in maniera graduale, cominciando con dosi minime da aumentare gradualmente fino a raggiungere il livello terapeutico. Raggiunto questo stadio, il paziente deve mantenerlo per alcuni mesi; il numero dipende dalla gravità della condizione. Una volta che i sintomi si siano notevolmente ridotti, si può tornare a dosi di mantenimento o smettere del tutto l’assunzione.

Stephanie prese probiotici terapeutici particolari, nella misura di 1 capsula al giorno (2 miliardi di cellule vive) per una settimana, poi aumentò a 2 capsule. A questa dose sviluppò pruriti, le feci diventarono piuttosto molli e i sintomi della cistite peggiorarono leggermente. La ragazza capì che stava accusando la reazione di “die-off” e continuò su questa stessa quantità finché i sintomi diminuirono, cioè per circa 2-3 settimane. Poi aumentò la dose a 3 capsule al giorno. Anche questo aumento provocò il fenomeno del “die-off” e rimase su 3 capsule al giorno per 1 mese. Con questa tecnica arrivò a 8 capsule al giorno, raggiunse quindi la sua dose terapeutica. Le raccomandai di mantenere queste dosi per 6 mesi durante i quali i sintomi principali diminuirono notevolmente ed altri sparirono del tutto. Allo scadere dei 6 mesi la ragazza decise di mantenere quelle quantità perché la facevano sentire bene e dopo altri 4 mesi si sentiva forte abbastanza da scendere a 4 capsule al giorno: la dose di mantenimento. Dopo 2 anni pensò che era giunto il momento di smettere i probiotici (che sono costosi) ed assumerli sono occasionalmente quando si sentiva particolarmente sotto pressione.

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